Arrideverci Maggiolino
11/07/2019

Arrideverci Maggiolino

Il Gruppo Bonaldi ha venduto oltre 50.000 Maggiolini

Dopo oltre 70 anni dall’inizio della produzione originale e 21 anni dopo il lancio del New Beetle, l’ultimo Maggiolino è uscito dalla catena di montaggio della fabbrica di Puebla, in Messico.

Per noi non è un addio, preferiamo un’arrivederci per questa vettura che ha caratterizzato la storia della nostra azienda sin dagli esordi.

Un modello apprezzato in tutto il mondo e anche da noi a Bergamo, dove il Gruppo Bonaldi negli anni ha venduto oltre 50.000 Maggiolini.

Vogliamo salutare il Maggiolino con una foto scattata lago d’Iseo il 23 maggio 1965, la data dell’inaugurazione della nostra sede di Via 5° Alpini a Bergamo celebrata anche con la traversata a bordo del Maggiolino Anfibio da Predore a Sarnico.

Dal libro dedicato al fondatore cav. Lorenzo Bonaldi:

«Era il novembre del 1956 e il neonato mensile «Quattroruote» aveva voluto vedere da vicino questo modello che tanto successo stava riscuotendo in Europa e negli Stati Uniti. Piaceva per via della sua funzionalità collaudata da anni di esperienza, per l’immutabilità del modello che proteggeva il proprietario da improvvisi e rapidi deprezzamenti e soprattutto poteva contare su un’organizzazione di officine specializzate ramificata in tutto il mondo.


Il Maggiolino piaceva di più principalmente agli impiegati (25%) e agli studenti (12%) seguiti da medici, rappresentanti e commercianti. Tutte categorie, concludeva ancora «Quattroruote», che chiedevano un’auto con una modesta spesa di esercizio e doti di solidità e di durata. Quattro i fattori che ricorrevano nell’acquisto: robustezza e durata, qualità tecniche e meccaniche, fiducia nel nome, convenienza economica. Il primo pregio era la robustezza (35%), seguita dalla sicurezza (6,4%) e dal raffreddamento ad aria (6%). I principali difetti erano il bagagliaio, la visibilità e l’estetica. Cosa importante, oltre il 55% dei clienti avrebbe ricomprato la 1200, ma anche la 1500.
Era un’Italia, quella dei primi anni ’60, in cui in cima ai desideri c’erano l’automobile, la casa, i mobili e la televisione.

Uno dei segreti – lo evidenza Franz Kuen, destinato a diventare il direttore commerciale di Autogerma – era l’ottimo lavoro di comunicazione basato sull’affidabilità e sulla semplicità della vettura. Lo slogan, echeggiando quanto aveva detto Henry Ford a proposito del modello T, recitava: «Quello che non c’è non si può rompere» e faceva riferimento, per esempio, alla mancanza della pompa dell’acqua o dell’albero di trasmissione. Sulle strade italiane ormai lo si riconosce e non solo «perché porta i turisti tedeschi in vacanza».

 

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